Grazie, ho questa sola parola, la uso come uno scrigno per raccogliervi tutti i pensieri, i volti, le voci, i passi, che abbiamo fatto insieme nella Notte dei Filosofi. È una voce, come ogni parola che basta per dire quanto si disperde nella gioia di aver vissuto insieme un momento bellissimo. È stata una partecipazione di voci, inattesa, pensata, sì, ma impensabile nella misura del desiderio che si è presentato. Anche il disagio è stato vissuto come voluto dalla partecipazione, non per altra impreparazione ma per un desiderio troppo grande, A rifletterci, i desideri sono sempre più grandi e inattesi. L’altro è la mia impreparazione, gli altri ci trovano impreparati ogni volta portandoci il desiderio che pensavamo perduto.
Abbiamo vissuto delle ore sincere, dove ognuno è stato se stesso impersonando la propria passione, il teatro, la musica, il tempo, la giustizia, la voce, il corpo, l’arte, la fotografia, la filosofia. Nessuno doveva dimostrare di sapere, ma portare il sapore il quel che è la vocazione del proprio impegno, delle proprie relazioni. Chiunque svolge con passione di desiderio il proprio impegno di persona, sa di quell’idea che il desiderio sollecita. Ne porta il sapore, così chi si occupa di giustizia, da magistrato, sa della giustizia, la sente. Non può dire che cos’è in una definizione ma può raccontare di sé, della sua amicizia e conflitto, della sua sincerità. Le cose vere si possono solo raccontare, non se ne può dare una definizione. Le cose vere, come l’amore, la libertà, la scienza, come ogni relazione vera, si può solo raccontare, chiama in prima persona, s’impersona. Ecco perché abbiamo scelto quella forma per la Notte dei Filosofi, quella di impersonare un’idea, non parlare su e di, ma esserne chiamati di persona a parlarne. Ed è stato così. Masullo splendido, è stato il Tempo, Isa Danieli è stata la Città, Marco Zurzolo la Musica, Antonello Ardituro la Giustizia, Silvio Talamo la Voce, Angela Balzano ed Elisa Cotena il Corpo, Marisa Albanese l’Arte, Lukas Lucariello il Disegno, Luciano Ferrara la Fotografia, Carmen Vicinanza è stata il suo nome, la Vicinanza, Giovanna Callegari, Laura Cascio, Anna Serio sono state le dee, Marialuisa Vacca è stata il Sostegno, Simona Marino l’Impegno. Ognuno è stato il proprio desiderio, la sua passione, ognuno dei tantissimi che siamo stati a partecipare di un evento importante per la Città, di cui tutti sentiamo il bisogno.
Mi sono chiesto tante volte della filosofia, se la sua voce parli d’idee che restano tali, senza applicazione, o se nelle sue parole esprima quel che ancora non c’è, quello che non va e come dovrebbe invece andare ed essere il mondo, secondo quali relazioni, e quale sia poi l’arte di vivere insieme e l’abitare che custodisce il segreto irraggiungibile del vivente.
Penso che i filosofi siano sui confini della città. Platone li pensava come guardiani ma non credo che pensasse a gendarmi, ma a chi ha riguardo, come quando si dice di riguardarsi, di aver cura. Col tempo ho imparato che la pratica della filosofia è vedere quel che manca in quel che c’è perché quel che c’è sia veramente quel che è. Mi viene facile ripetere il giro della frase dicendo di vedere quel che manca alla mia città perché sia veramente com’è o cosa manca alla propria amicizia perché sia vera e quel che manca all’amore che portiamo a chi amiamo perché sia vero amore. È un compito. Il filosofo è come l’artista, ma quale professione non è arte quando è vissuta col desiderio di esprimerla come non è stata, e come sempre si è voluta e pensata. C’è un momento in cui il desiderio diventa bisogno, è quando penetra il proprio corpo fino a sporgersi a prendere respiro di parola e incontrarsi. La filosofia è questo bisogno del desiderio di un mondo come lo sentiamo.
Parlavo di Kant quella sera a chi mi era a fianco, ricordavo la sua critica del giudizio e di come riguardasse il sentimento del piacere e del dispiacere. Chi mi ascoltava diceva che era però un discorso ideale, che non risponde alla realtà così com’è. Dicevo che in fondo era lo stesso di Platone, anche di Nietzsche e di Heidegger e di Vico e di Giordano Bruno, solo con parole di tempi diversi perché l’applicazione del linguaggio e delle relazioni col tempo richiede altre espressioni. È come se uno mi dicesse che Bach e Mozart non siano ugualmente musicisti. Col tempo mi sono abituato a ripetere che la musica non si ascolta, è ascolto. Così non posso dire di ascoltare Mozart ma di come la sua musica mi mette in ascolto, mi dispone, così come Mozart o Bach mi fanno ascoltare la musica più segreta. Ecco, allora sono disposizioni anche le filosofie che mettono in ascolto del segreto di quel che si dice che sia “la” filosofia, che poi è solo “là” dove “la” viviamo. I filosofi stanno sui confini della città, guardano ciò che non va ma non per interpretare l’insoddisfazione e l’impotenza a fronte dell’esistente così com’è, ma per mostrare quel che è vero e nascosto, solo perché reso invisibile da quel che si vede secondo un ordine d’inclusione e d’esclusione, nascondendo il mondo dietro al mondo. Chi dice che il nascosto sarà lo stesso quando nel suo apparire, continuerà a pensare ancora a come potrà essere diverso da quello che c’è. I filosofi o sono antagonisti, come Nietzsche, o idealisti, ma anche Nietzsche lo era, come Platone, come Foucault, come Deleuze, come ognuno che incontra la filosofia.
È stupefacente riflettere come ancora permanga il desiderio della filosofia e il suo bisogno, perché la filosofia è desiderio di sapere come non abbiamo mai saputo fin qui nelle forme esistenti e tutto questo è un bisogno. L’abbiamo vissuto, cioè veduto dentro, perché il vissuto è quel che si è visto da dentro. L’abbiamo vissuto con La Notte dei Filosofi. La filosofia permane, anche a fronte di riforme della scuola in Europa che ne limitano l’insegnamento fino alla cancellazione, come anche per altre espressioni di arte e di letteratura che non hanno un immediato e riscontrabile interesse applicativo, ma esprimono quella funzione irrinunciabile, per cui soltanto si può dire pubblico un sapere e una scuola, quando riguarda la cultura, il comune, lo stare insieme, i legami sociali, per una società comune e una comunità sociale.
La notte del 30 di maggio è stata la manifestazione di un desiderio che è diventato bisogno fino a metterci in strada e affrontare anche difficoltà ammirando la sincerità di chi si aveva davanti e s’incontrava, senza interesse alcuno, senza un secondo fine, senza guadagno, senza ostentazioni di sapere e di apparire, semplicemente.
“Grazie” allora viene spontaneo dirlo che è una voce, semplice, non una parola, ma un volto cangiante in tutti quelli che si sono ritrovati nella Notte dei Filosofi. Vorrei che ognuno vedesse questo “grazie” rivolto di persona, di viso, diretto, immediato, sincero.
Chi avevo vicino mentre continuavo a parlare della “critica del giudizio” come l’esigenza che anche un sapere, nella forma come nei contenuti, procuri un sentimento di piacere o di dispiacere e che è il bello a suscitare il sentimento morale, ha obiettato dicendo come tutto questo è educativo ma non è concreto. Sì, certo, in quell’opera Kant promuove un’educazione sentimentale, lui che appariva tra i banchi di scuola e dell’accademia espressione di una dottrina fatta di tabelle, o come un notaio della ragione chiamata in tribunale.
Il fatto è che bisogna portarla fuori la filosofia, il fatto è che bisogna fare della città una scuola e non lasciare che i mali della città siano attribuiti solo alla scuola.
Filosofia fuori le mura è questo progetto, questa idea. Bisogna portare i filosofi per la città, sentirne il bisogno, alimentare il desiderio di una discussione che non sia l’accapigliarsi di ciò che si gradisce e tradisce, per ritrovare la riflessività interiore del bello. Anche l’artista, lo scultore, il pittore è inutile, non “produttivo”, ma è triste immaginare cosa e come saremo senza l’arte e la filosofia.
Perciò, la Notte dei Filosofi è stata solo un evento dell’impegno di Filosofia Fuori le Mura. Saranno annunciati a seguire appuntamenti nelle piazze e nelle vie della città a parlare di un filosofo, di un’opera, di un’idea, a ritrovarla, a ripensarla, a pensarci.
I confini della città sono fatti di voci. Una città arriva fin dove la voce ha parola, quando si spegne in un grido o resta attonita, la città finisce. Quando non ci sono sentimenti, neanche la voce risuona nelle parole come nelle note di un respiro di vicinanza.
Portare la filosofia sui confini della città, sui luoghi d’eccezione, in carcere, nelle scuole, nelle piazze, nelle case, e non tra filosofi dichiarati tali per professione, perché ogni professione ha la sua filosofia, opera per scelte, sentimenti, ragioni, contrarietà, desideri. Non bisogna averla “studiata” la filosofia per capirla, per sentirla, né i filosofi usano ricette e terminologie che non abbiano estratto dalla vita del giorno e della notte e perciò ritraducibili nel linguaggio comune, perché il compito per la filosofia è questa traduzione nel linguaggio comune, di parole in comune, per essere parola che accomuna, che circonda e tiene insieme, che riguarda e fa stare bene, che guarisce quel che diciamo essere normale e sano e ci fa male, la cura della filosofia è avere cura che si abbia cura di sé insieme con gli altri.
Allora continuiamo fino a ritrovarci al prossimo maggio con il percorso di un anno di filosofia nelle piazze.
Il prossimo incontro è a Piazza Municipio, che è stata messa a nuovo e sarà ancora più bello metterla in filosofia. Il prossimo incontro sarà sull’educazione al sentimento del piacere e del dispiacere. Poi ci sarà Camerota in settembre, tre giorni all’aperto in un villaggio, tra alberi e mare e filosofia, a parlare del corpo com’è in arte, in filosofia, in politica, a scuola, al cinema, come è il corpo della città, il corpo proprio, il corpo improprio, il corpo dell’altro, dell’altra, di altri, di chi viene e trova impreparati di fronte a un nuovo desiderio di vita e di mondo.