Immigrati

Novembre 11, 2013 Posted by επιμελεια - Epimeleia 0 thoughts on “Immigrati”

In
fila
per
vivere.
La
disperazione
ha
sempre
questa
immagine
di
attesa.
Si
aspetta.
Lo
sguardo
diviso
dentro.
Rivolto
da
una
parte
al
buio
della
vita
negata
e
dall’altra
all’oscuro
avvenire.
La
solitudine
degl’immigrati
è
divisa
tra
la
nostalgia
di
quel
che
si
perde
e
la
paura
di
quel
che
si
incontra.
 Così
 si
è
 straniero.
L’Africa
mediterranea
stacca
i
 biglietti
 di
 ritorno
 del
 viaggio
 di
andata
del
colonialismo.
È
come
un
ritorno
di
ciò
che
resta
delle
“conquiste”.
Quasi
un
riflusso,
una
colonizzazione
a
canone
inverso,
 temuta
perché
arriva
con
l’arma
della
rabbia
sollevata
dal
bisogno,
minacciando
di
importare
il
desiderio
delle
rivolte
per
una
vita
non
più
di
scarto.
Sono
 profughi
 o
 immigrati
 economici?
 Chiedono
 asilo
 politico,
 chiedono
 assistenza
 o
esistenza?
Come
 si
 fa
a
 distinguere
la
 disperazione?
Il
 profugo
è
 un
 fuggitivo,
il
 disperato
è
uno
sbandato.
L’uno
è
un
perseguitato,
l’altro
è
uno
che
lasciano
andare.
Va
bene
pure
che
sia
disperso,
in
mare
o
preso
a
sassate
e
cannonate.
Quella
dell’immigrato
economico
è
l’ultima
trovata
 classificatoria.
 Come
 se
 la
 politica
 non
 riguardasse
 l’economia.
 Di
 certo,
l’immigrazione
 sulle
 coste
italiane
 di
 questi
mesi
 non
 è
quella
 di
 altri
 anni.
 E’
 diversa.
 Vale
appena
 riflettere
 a
 come
 sia
 corrispondente
 all’emigrazione
 dei
 giovani
 italiani,
 laureati,
dottorati,
formattati
e
masterizzati.
Sono
i
precari.
Si
scambiano
di
posto.
Un
solo
filo
raccoglie
gli
anelli
di
un’unica,
globale,
collana
di
precari
che
va
dagli
immigrati
economici
africani,
ai
profughi,
fino
agli
emigranti
meridionali.
Un
 flusso
a
circuito
chiuso
di
un’economia
globale,
non
di
merci,
ma
di
corpi,
meglio,
di
parti
di
corpi,
perché
da
una
parte,
in
un
paese,
emigrano
cervelli,
da
un’altra
immigrano
piedi,
da
un’altra
ancora
mani,
e
altro
ancora.
Una
vivisezione
continua.
 Una
 spartizione
 della
 vita.
 Sbranata.
 Non
 si
 può
 distinguere
 il
 profugo
dall’immigrato
economico,
perché
la
disperazione
è
la
 stessa.
E
di
chi
e
quale
è
il
paese
che
deve
 fronteggiare
 l’afflusso
 d’immigrazione?
 Per
 l’Europa
 sono
 problemi
 dell’Italia,
 per
 i
Lumbard
sono
cavoli
del
Meridione.
I
confini
dell’Europa
arrivano
a
Francia
e
Germania,
quelli
dell’Italia
arrivano
a
Lampedusa.
 Il
 problema
dell’integrazione
mostra
 piuttosto
di
essere
la
faccia
 truccata
 di
 buonismo
 dell’integralismo
 economico
 cui
 sottostiamo
 in
 un
 regime
 di
confessione
liberista,
che
 non
ha
 niente
 di
liberale,
 proprio
 perché
 assegna
 quote
 di
libertà
vigilata,
privilegi
ed
esclusioni
funzionali,
dentro
le
proprie
città.
Non
c’è
integrazione
in
una
società
 disgregativa.
Bisogna
 ripensare
allora
all’integrità
 dell’umano,
all’integrità
 della
 vita,
alla
salvaguardia
dell’esistenza
così
come
non
è.
Occorre
ripensare
a
nuove
forme
di
economia
e
di
vita
in
comune.
Dalle
coste
mediterranee
dell’Africa
sta
emigrando
un
bisogno
di
mondo,
un
bisogno
politico,
un
desiderio
di
vita,
dal
quale
possiamo
apprendere
o
almeno
riprendere
a
desiderare
di
vivere
altrimenti.
Dobbiamo
sapere
leggere
tra
corpi
ammassati
i
gesti
minimi,
quelli
“inutili”
e
perciò
importanti,
di
una
mano
che
stringe
un’altra
che
viene
dal
mare,
di
un
sguardo
 perduto
 e
 ritrovato
 nella
 parola
 di
 un’altra
 lingua
 che
 si
 fa
 comprendere
 nel
 solo
suono
della
voce
che
l’accoglie.
Dall’altra
parte
del
mare
si
sono
ribellati
a
governi
durati
40,
30
 e
 23
 anni,
 noi
 qui
 abbiamo
 governi
 e
 governanti
 che
 hanno
 superato
 la
 soglia
 del
ventennio.
 La
 preoccupazione
 reale
 è
 che
 con
 gli
 immigrati
 insieme
 ai
 bisogni
 possano
arrivare
sui
barconi
il
desiderio
e
l’idea
di
altre
forme
di
relazioni,
di
governo,
di
associazioni,
di
politica.
Certo
è
sorprendente,
gli
immigrati
arrivano
a
Lampedusa
solo
di
passaggio.
Ed
è
qui
 il
 problema.
 L’immigrazione
 di
 passaggio
 sale
 il
 nostro
 Paese
 seguendo
 il
 corso
dell’emigrazione
 dei
 nostri
 giovani,
 del
 meridione.
 Abbiamo
 da
 apprendere
 dagli
 immigrati
come
non
emigrare.
Ad
accoglierli
apprenderemo
a
come
starci
accanto.
Qui.

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