Ho visto di nuovo quei camion militari che mi sono rimasti negli occhi di quella sera. I camion militari di Bergamo. Quella sera in fila funebre è ancora là, alla parete della stanza della memoria dei giorni della peste polmonare. Quegli stessi camion, non in fila questa volta, non funebri, ma da trasloco li hanno fatti vedere alla televisione che portavano i banchi per la scuola. I banchi nuovi, quelli detti “monoposto”. Sono due immagini che fanno pensare a un passaggio al nuovo giorno, dai vecchi ai bambini, da quelli che ci hanno lasciato in quei giorni tristi e quelli che apprendono il mondo nuovo nei giorni che vengono.
È stato per poco. L’immagine della generazione che dà storia al tempo ha fatto presto a intorpidirsi riflessa nell’acqua che perde trasparenza. Banchi monoposto? Non sono monoposti anche quelli già in dotazione nelle scuole? I “nuovi” sono solo più stretti, hanno la metà della superficie del piano. Ci vanno meno cose, libri, quaderni, pennarelli, braccia … sono “banchi ristretti”. Questo, per consentire che ci sia maggiore distanza, cioè perché ci sia distanza misurabile in metro tra un banco e un altro. Così si “guadagna” più spazio in quello che c’è, vi entrano più banchi!
Una spending review! Ancora! Banchi ristretti come si usa anche, tristemente, per le carceri, ristretti sono gli spazi e la libertà. Il rimando può suonare fastidioso. La logica però della spending review e del restringimento è tale. I soldi per quei “banchi ristretti” non potevano essere spesi per rimettere a posto le scuole abbandonate? Non sono poche in un paese che già aveva ristretto la scuola, restringendo gli spazi per dare capienza maggiore di alunni per classe. La logica è sempre quella dell’emergenza e del restringimento, mai quella che guarda al futuro, al progetto di scuola avvenire. È la logica del tampone, si procede a tamponare l’emergenza, così come a fare i tamponi, senza dare nuove prospettive, perché tutto sia come è stato prima. E non per ritornare a come prima non è stato e vivere la gioia del presente e dell’abitare questa terra senza confini d’esclusione, ora occultati nel “distanziamento sociale”.
Anche l’apertura della scuola, così pressante, finisce per restringere l’esigenza educativa e il valore della scuola come funzione di intrattenimento per non interrompere il ciclo della fabbrica sociale. Anche questo bisogna considerare, forse sarà con sospetto, certo, ma se non si aprono le scuole come tenere i bambini e i ragazzi a casa? Non sarà per un problema sociale, di sicurezza, a garanzia di apertura dei luoghi di lavoro che verrebbero a trovarsi a soqquadro? È la parola, “soqquadro”, che porta due “qq”, a dire la confusione.
La richiesta pressante della apertura delle scuole non riguarda nuove forme educative, nuove relazioni, tempi dedicati, didattica, trasmissione di sapere. È ancora la logica di ritornare a tutto come prima, solo un po’ più ristretti. Quei banchi sono un nuovo “taglio” alla scuola. Non solo un taglio dello spazio disponibile di banco per ogni alunno. Immagino i bambini della primaria, che già è assurdo che siano costretti a stare nei banchi. Immagino quando si ritroveranno in quelli ancora più ristretti, inscatolati. Così si fa a tenerli? Il taglio non riguarda solo spazi e i fondi, riguarda il valore e la funzione educativa dell’istruzione, che è venuta progressivamente a restringersi quando nella scuola si è trattato quasi solo, per molti casi, di “tenere la classe” invece di farne luogo di apprendimento. Fin quando la scuola sarà uno spazio di contenimento e non un luogo, la logica che l’offende nell’emergenza senza prospettive rimarrà sempre più devastante. Ai provvedimenti stringenti si risponde con azioni restringenti. Significa non avere alcuna idea della scuola. Come sempre a Ministro della scuola è chi non la vive, non la sente, non la conosce, non l’ama.
L’unica innovazione che si pensa di apportare sul piano dell’istruzione è il “coding”, sinistramente troppo vicino a “covid”. Fanno pensare alle parole che Orwel diceva della “neolingua” e del “bipensiero” che avrebbero dominato la scena del suo “1984”. Quel romanzo e quel titolo sono già avvenuti e non ce ne siamo accorti, pensiamo che Orwel si sia solo sbagliato sulla data, che ancora non è così. Invece no, quella condizione è “data”, la scuola si restringe perché così si rientra nella misura di uno spazio per metro. La logica è la stessa, il restringimento della libertà, del movimento, della relazione, dell’educazione, dell’apprendimento.
C’è chi continua a proporre il restringimento anche del tempo, con ore scolastiche già non più di sessanta minuti, per portarle a quaranta, poi diventeranno trenta, poi venti, come già sono quelle che restano, quando a scuola chi insegna deve innanzitutto “tenere la classe”.
I sentimenti sono fatti di tempo. Quello che passa e rimane al fondo di una sedimentazione di apprendimento del Sé. Il tempo si sentimenta. Si assorbe nei sensi, nell’olfatto, nell’udito, nel gusto, nella vista, nel tatto. La scuola ha il suo odore, ha il suo gusto, fa vedere dentro, è ascolto, ti tocca dentro. C’è quel passaggio dai sensi ai sentimenti che solo il ricordo accorda e fa risuonare interiormente. Perderemo il ricordo che sentimenta i sensi facendoli risuonare dell’apprendimento.
Bisogna aprire le scuole, c’è bisogno di una “data certa”, non c’entrano per niente il tempo della scuola, il luogo, l’apprendimento, la relazione insegnante. Non contano. La scuola dell’obbligo in Italia è arrivata con la fine dell’obbligo del servizio militare. Nello stesso anno. Ci penso sempre e m’inquieta. Penso poi all’evasione scolastica che risponde all’esigenza della libertà negata, alla libertà di apprendere, quella della curiosità, della meraviglia, del voler sapere, dell’imparare. L’evasione è sempre per la libertà. E nessuno è libero da solo, la libertà è fatta di legami. La scuola è legame. È così difficile da capire?
Bisogna aprire le scuole, perché se no, che fanno i ragazzi a casa? E come si fa a garantire la sicurezza sociale e l’ordine ora che i confini non sono più sul fronte geografico, perché il nemico è interno, è interiore, siamo noi. Davvero ci manca la memoria dell’amore, che si apprendeva a scuola imparando le poesie.