Mi hanno sempre insegnato che imprigionare un’anima, fosse possibile soltanto per maghi e stregoni, ma purtroppo ho scoperto che non è poi così difficile farlo. L’anima non si rinchiude in un’ampolla, bastano solo 3 mura e qualche sbarra di ferro. Ho sentito i loro occhi impauriti, che alla vista potevano sembrare assonnati, alla mia vista sembravano più arresi all’idea di un eterno sonno. Ho visto le loro voci venir fuori con dolore, rassegnazione, rabbia, amore. Quando esci fuori e provi a parlarne, ti scontri col cinismo, anche comprensibile, di chi prova a dirti: “Beh se sono lì, un motivo ci sarà”. Ma chi non prova su di sé il peso, che ti fa scendere la coscienza nello stomaco, soltanto ascoltando le loro storie, non può capire perché scrivo certe cose. Non si può essere freddi e cinici, quando pensi che ciò che è accaduto a loro, aveva la stessa possibilità di accadere a te. Dai loro ascolto e ti accorgi che quando devono parlare la voce gli si rompe, una vendetta per quella voce, che ha provato tante volte a rompere quelle sbarre. Quando ti si avvicinano e provano a toccare la tua pelle, c’è una violenza, una tale irruenza nel loro stringerti. In questo caso puoi pensare solo 2 cose: O che è così tanto tempo che non toccano qualcuno, che hanno dimenticato come si fa o che non vorrebbero mai lasciarti andare, così che tu possa ascoltare ancora le loro storie. Già, perché di questo si tratta. Gli è già stata tolta la vita, mentre sono ancora in vita, ma noi diamo loro il colpo di grazia, con la nostra indifferenza. Mentre ero lì, gli ho detto che mi sembrava che loro fossero i saggi dai quali noi allievi dovevamo imparare. In fondo è come se la loro voce, fosse la mia voce di dentro, mentre ci dicevano “Non fate il nostro stesso errore”. Erano la mia coscienza. Erano la personificazione di ogni mio errore. Dell’errore di ognuno. Ciò che mi spaventa di più, è che quando ti crei un’aspettativa di come saranno le persone che incontrerai, pensando a loro come dei mostri, quasi a volerti difendere dal fatto che nella quotidianità non possono esserci persone come loro e poi ti accorgi che hanno la familiarità di un tuo zio o di un nonno, o possono sembrarti professori, capisci che forse bisognerebbe stare più attenti fuori, che lì dentro, a differenza di quanto credono i tuoi genitori. Ho paura. Ho paura per la nostra vita e per come coloro che ci rappresentano, prendono decisioni sulla nostra sicurezza. Non tollero che uno stato giusto predichi punizione e vendetta, anziché ri-educazione e ri-formazione. Se una persona sbaglia deve morire. Sia anche solo con l’anima. Chi ha subito un torto gravissimo, deve avere vendetta, anche se in questo modo si dovesse porre sullo stesso piano dell’assassino. Davvero l’unica differenza che ho trovato tra le persone che ho incontrato e una persona morta, è che i primi sono ancora presenti alla vista. Niente di più. Allora mi viene naturale chiedere: “Chi sbaglia deve perdere anche il diritto alla giustizia?”. Sembra che solo chi soffre, deve aver giustizia. Beh, io di persone che soffrono lì ne ho viste tante, ma per loro giustizia non ci sarà mai! Almeno noi, che possiamo estraniarci dalla funzione di giudice, facciamolo e quando andiamo a trovarli, pensiamo a loro come delle persone. Sono contento, perché sono riuscito a vedere soltanto delle persone e non dei crimini l’altro giorno in carcere. Non ho incontrato detenuti e non ne ho mai parlato così, prima di adesso, perché l’altro giorno ho incontrato delle PERSONE. Comunissime persone, con le loro paure, debolezze, insicurezze e frustrazioni. A differenza delle nostre hanno già la rassegnazione di essere fuori dalla possibilità di una vita felice. Le loro paure insicurezze, paure, frustrazioni e debolezze, sono schiave della loro infelicità.
“ La legge è per tutti”. Per me l’uguale è soltanto una relazione matematica.
Federico Zaccaria