Lo so, perché c’ero. Genny non doveva essere lui a morire, a 17 anni siamo tutti innocenti. Non doveva essere lui. La polizia dice invece che era lui il bersaglio. È vero anche questo. Le verità sono due. Segnano il confine di una parte. La città è divisa. Ed è questo il suo confine, una doppia verità. E quando le verità sono due, sono false l’una per l’altra. Ripenso alla mamma del ragazzo del quartiere San Ferdinando, aveva cercato di salire su questa divisione di confine, voleva parlare con qualcuno prima che accadesse e ora che è accaduto che suo figlio è stato ucciso, lo vorrebbe ancora. Intervenne il Papa, ricordo. I confini della città confini di voci. Una città arriva fin dove la voce ha parola, quando si spegne in un grido o resta attonita, quando si esprime a colpi di pistola, la città è finita, è questo il suo confine. Da una parte ci sono le ragioni senza diritti, dall’altra i diritti senza ragione. Quando ci sono due verità non ci capisce, non ci si parla. Genny sta in mezzo, la linea di confine è il corpo inerme, offeso, ucciso, vita violata. Tutt’in giro si alza il polverone d’opinione. Bisogna mandare l’esercito, avere più poliziotti. La colpa è della scuola, troppa evasione scolastica. La causa è la disoccupazione, non c’è lavoro. Il Sud è abbandonato, e a seguire tutto il resto, con la temporanea appendice sul giornale della notizia a caldo e la voce degli “esperti”. Ci sono quelli che sanno tutto, nomi e cognomi e abitazioni. Nessuno bussa a quelle porte, bisognerebbe andarci in corteo, con alla testa quelli che sanno tutto. Arriva puntuale il denominatore comune “la colpa è della scuola” e del sindaco, quello di turno ovviamente, perché quello che verrà sarà sempre il migliore fino a quando non verrà. Basta. I confini della città sono confini di voci, fin quando la voce ha parola e si esprime, non c’è pericolo. È quando hai davanti chi non si sa esprimere e non sa parlare che si alza il pericolo. Dove c’è parola c’è mondo, ripetono i filosofi. La colpa è della scuola se resta chiusa, la colpa è della città se non diventa essa stessa scuola. La colpa è nostra. L’intera città deve farsi scuola, per le strade, nelle piazze, nelle case, nei rioni, nei quartieri. All’evasione scolastica, bisogna rispondere con l’invasione scolastica della città. Del resto ricordiamo tutti, a ogni buona occasione, la frase di Pericle e del suo orgoglio di aver fatto dalla propria città una scuola. Una città che si fa scuola non ripete abilità, le competenze, non fa formazione e intrattenimento, racconta, incontra, legge, scrive, educa ai sentimenti, fa vicinanza, ti chiede di quello che sai e non di quello che non sai ripetere a memoria. Ti chiede di te. Ti dice della relazione che sta dietro ogni regola. Una scuola fuori della scuola, una città che si fa scuola è quella in cui s’impara a leggersi dentro, impari a parlare, a stare insieme, a spiegare le ragioni e trovare le soluzioni, a ricercare e inventare nuovi percorsi in comune, a raccontare la città, la riconoscerla, ad attraversarne la storia nelle strade, a ritrovarne l’orgoglio, l’appartenenza, l’esserci e contarvici, raccontandosi. Invece no, anche nei romanzi d’autore questa città è poliziesca e “commissariata”, demonizzata. Si racconta dei boss, quasi a marcare gesta di eroismo rovesciato. Sì, Genny era innocente perché tutti siamo colpevoli, anche quelli che gridano la sua innocenza, perché sono vittime di un sistema di bande territoriali di cui non si sa di essere invischiati, tenuti a tacere con il grido in gola. Finanche i “coinvolti” non sanno come e perché. Ci si trovano, non sanno di finire a bersaglio e vanno loro stessi a colpire terrorizzando tutt’intorno. Non c’è niente di più terribile del silenzio dopo gli spari. Poi li ritrovi dentro, in carcere, quando la fanno grossa. Massimo, Secondigliano, giovane, forte, ti siede accanto a chiederti come deve fare adesso che la sua vita ha davanti il buio. Dovete conoscere i miei figli, parlare con loro, sono ragazzini ancora, ti dice il “casalese” che vuole essere, ed è, cittadino di Casale Principe contrariato da quel nome di disappartenza, che lo ha reso clandestino di se stesso. Ed ecco puntuali i racconti dei traffici, le quote, i nomi, il riassetto del territorio da Scampia al Centro, al rione Traiano, a Forcella. Cavolo, sappiamo tutto e tutto resta nel silenzio degli spari. La gente che dice che Genny è innocente ha ragione e vuole il diritto di esprimerlo, dicendo della propria innocenza, di quella dei quartieri in preda alla doppia occupazione del silenzio delle persone che vogliono stare bene, serene, vivendo la propria comunità, i propri riti simbolici di rioni e culture proprie, mentre si sentono ostaggio di un’economia e di una cultura estranea e della vessazione impropria di chi abitando quei luoghi li comanda con violenza a tacere. C’è stata una bella esperienza in Regione, prima che la giunta successiva la negasse, fu “Scuole Aperte”, fu una prova importante. Allora si disse che le scuole fossero diventate dei centri sociali. Era così. Bisogna provare adesso a portare la scuola fuori la scuola, perché la Città si faccia scuola. Sarà come l’invasione scolastica della Città.